A volte si rivelano solo agli sguardi attenti degli appassionati di vintage tipografico, che ne percepiscono l’azione o la presenza; talvolta incardinano significativi ruoli da protagonisti, fornendo contributi essenziali all’architettura narrativa. Sono gli stampatori da film, ai comandi delle loro chiassosissime macchine da stampa: dal “Dottor Mabuse”, di cui l’espressionista “tipografica” trasfigura in un diabolico e gigantesco mostro, agli sgangherati ma irresistibili falsari, ai comandi dell’ipertecnologica pedalina in “La banda degli onesti”.
Nel cinema e nella TV dal dopoguerra ad oggi, la stampa con le sue macchine e i suoi “artigiani” — è diventata più che un dettaglio scenografico, spesso è protagonista simbolica e motore della trama.
Stampatori da film: quando la stampa prende la scena
Nella settima arte, la stampa — macchine da tipografia, rotative, linotype, presse – è un espediente visivo potente. Evoca tradizione, lavoro manuale, conflitti etici, progresso industriale. Dal dopoguerra le pellicole hanno usato questo elemento non solo per ambientazione, ma come fulcro drammatico.
Il rumore, l’odore dell’inchiostro, la presenza fisica della macchina (rotante, potente, sporca) spesso in questi film serve da “musica diegetica”: la stampa non è solo ciò che viene prodotto, ma il suo processo — scintille, sudore, macchine che sbuffano — diventa parte del racconto emotivo. È un elemento raramente digitale, che “fa vedere” il lavoro dietro la carta.
Quando la celluloide incontra l’inchiostro
Se pensiamo al cinema, ci vengono in mente inseguimenti mozzafiato, storie d’amore travagliate e colpi di scena inaspettati. Ma quante volte ci siamo soffermati su un dettaglio apparentemente banale, eppure così suggestivo: la presenza di una macchina da stampa? Dalle rotative d’altri tempi alle moderne stampanti 3D, l’atto di stampare, o semplicemente la presenza di una tipografia, ha spesso ricoperto un ruolo significativo, o per lo meno affascinante, nel mondo della settima arte.
La tipografia come covo di segreti
Fin dal dopoguerra, l’immagine del giornalista d’assalto, che lavora in una redazione fumosa e caotica, è un classico intramontabile. Le macchine da stampa non sono solo uno sfondo, ma diventano il cuore pulsante di storie di denuncia e di lotta per la verità. Un esempio su tutti? “Tutti gli uomini del presidente” (1976), il capolavoro di Alan J. Pakula che racconta l’indagine di Bob Woodward e Carl Bernstein sul caso Watergate. Le immagini di Robert Redford e Dustin Hoffman che consultano documenti, e poi, a un certo punto, l’irrompere della notizia, con le gigantesche rotative che iniziano a stampare in modo frenetico. Il rumore, l’odore dell’inchiostro, la carta che scorre: tutto concorre a creare un’atmosfera di urgenza e di importanza storica.
“La stampa, la libertà di parola e la democrazia sono strettamente connesse”, diceva il filosofo John Stuart Mill. E in questo film, l’atto di stampare non è solo la riproduzione di un testo, ma l’affermazione di un diritto fondamentale.
Dalla carta alla finzione: la stampa in azione
Ma non sono solo le tipografie a rubare la scena. Anche le singole macchine da stampa, spesso d’epoca, diventano un elemento narrativo. Chi non ricorda la scena di “Il grande Lebowski” (1998) dei fratelli Coen, in cui il Drugo, per errore, si ritrova a stampare un volantino elettorale con una vecchia macchina da stampa in un sotterraneo? Un momento comico, ma che dimostra come anche un oggetto così desueto possa essere integrato in una storia moderna.
La macchina da stampa in Nel corso del tempo di Wim Wenders: simbolo di un mondo che scompare
Una tipografia in demolizione: il cuore della scena. Nel capolavoro Nel corso del tempo (1976), Wim Wenders inserisce una delle sequenze più poetiche e malinconiche legate al mondo della stampa. In una tipografia destinata alla chiusura, una grande macchina da stampa viene smontata pezzo dopo pezzo: un momento che va oltre il semplice realismo documentario.
Wenders trasforma quell’oggetto industriale in un simbolo, raccontando la fine di un’epoca in cui la parola stampata – così come il cinema popolare itinerante del protagonista – portava cultura e storie nelle province dimenticate.
Il significato simbolico della macchina da stampa
La demolizione della macchina in Nel corso del tempo diventa una riflessione sulla fragilità della memoria, sulla trasformazione dei mezzi di comunicazione e, in fondo, sul senso stesso di appartenenza a una comunità culturale che sembra dissolversi. Un’immagine che dialoga con la missione del cinema stesso: conservare e trasmettere memoria attraverso le immagini in movimento.
Da Truffaut a Hollywood
Wim Wenders in Nel corso del tempo dialoga idealmente con altri momenti memorabili del cinema: basti pensare ai torchi tipografici in Fahrenheit 451 di François Truffaut, che diventano emblema della resistenza culturale in un mondo che brucia i libri, o ai grandi macchinari rotativi che nei film americani degli anni ’40 – da Quarto Potere a La signora del venerdì – scandivano il ritmo incalzante della stampa quotidiana, simbolo di modernità e potere mediatico.
Se lì la stampa era forza viva, motore di narrazione e informazione, in Wenders è il contrario: il suo smantellamento racconta un mondo che svanisce, lasciando dietro di sé un silenzio carico di nostalgia.
Stampatori in serie: l’inchiostro che non si ferma mai
Anche le serie televisive hanno spesso utilizzato la stampa come elemento di trama. Basti pensare a “The Wire” (2002-2008), una delle serie più acclamate di tutti i tempi. La redazione del Baltimore Sun, con le sue vecchie rotative, è il palcoscenico di una delle trame principali, che si intreccia con il mondo della criminalità e della politica. Il giornalista Gus Haynes, interpretato da Clark Johnson, combatte una battaglia per mantenere l’integrità del suo mestiere, e la macchina da stampa diventa un simbolo della sua resistenza.
L’inchiostro del futuro
E oggi? Con l’avvento del digitale, la macchina da stampa tradizionale è quasi scomparsa dai nostri schermi. Ma ha lasciato il posto a nuove tecnologie, come le stampanti 3D. Un esempio in questo senso è “Westworld” (2016-), in cui vediamo la creazione di androidi, un processo che assomiglia a una stampa 3D su scala gigante. O anche “Blade Runner 2049” (2017), dove la riproduzione di esseri viventi non è solo una metafora, ma un’azione concreta, quasi “stampata” in un laboratorio.
In un mondo sempre più immateriale, l’atto di stampare, che si tratti di un giornale o di un essere vivente, continua a essere un potente simbolo. La stampa è, e probabilmente lo sarà per sempre, una metafora della riproduzione, della creazione e, soprattutto, della diffusione della conoscenza. E finché esisteranno storie da raccontare, ci sarà sempre un posto per gli “stampatori da film”.
Esempi celebri

Park Row (Samuel Fuller)
La Linotype diventa simbolo del progresso e del coraggio giornalistico. Uno dei film più accurati sul mestiere tipografico.

All the President’s Men (Alan J. Pakula)
Nel finale, le rotative stampano i titoli sullo scandalo Watergate: il fragore della stampa diventa un climax narrativo.

Brazil (Terry Gilliam)
La burocrazia distopica è popolata da formulari stampati e duplicazioni ossessive: la stampa come simbolo di oppressione.

Catch Me If You Can (Steven Spielberg)
Frank Abagnale Jr. stampa assegni falsi. Scena spettacolare ma tecnicamente imprecisa.

The Post (Steven Spielberg)
Realismo e solennità nel mostrare i Pentagon Papers che prendono vita sulle rotative.

Mad Men (Serie TV, AMC)
Prove di stampa e bozzetti tipografici mostrano il lavoro materiale dietro la pubblicità anni ’60.

The Crown (Serie TV, Netflix)
Le tipografie accompagnano scandali e notizie dell’epoca, dando forza narrativa alle edizioni stampate.
